Langobardia
I Longobardi in Italia
di Tommaso Indelli
prefazione di Claudio Azzara
pp. 401, € 40,00
Edizioni di AR, 2013
ISBN: 8806161822
735
e.v.: mentre Liutprando, uno dei più grandi sovrani longobardi, giace
gravemente malato, tanto da sembrare in punto di morte, suo nipote
Ildeprando viene incoronato re; come racconta Paolo Diacono, non
l’unzione (ossia la sottomissione al papa) ma la consegna della lancia (sicut moris est, è la chiosa rivelatrice) al nuovo re fu il segno tangibile dell’avvenuta trasmissione della regalità.
Ecco, ancora, perché mentre il carolingio Pipino s’affretta ad andare
incontro al papa a Ponthion, Liutprando aspetta, da superiore, papa
Zaccaria. Queste prime, scarne osservazioni sul rapporto tra re
longobardi e papi, quasi antitetico rispetto a quello cui daranno vita i
carolingi, andranno poi ovviamente inserite nel più vasto reticolo
delle istituzioni longobarde. Ed è proprio qui che emerge tutta
l’importanza del lavoro di Tommaso Indelli. Perché Indelli, ed è un
altro degli indubbi meriti della sua opera, non ha soltanto
minuziosamente ricostruito tutto l’arco della presenza longo barda in
Italia dal VI all’XI secolo, quindi includendovi anche le vicende,
spesso trascurate o studiate separatamente, della Langobardìa minor,
ma si è soprattutto interessato, con ricchezza di particolari e
profondità di analisi, delle istituzioni e della società dei Longobardi.
Indelli si sofferma innanzitutto sulle
trasformazioni della regalità, mettendo ad esempio in luce l’importanza
dell’editto di Rotari come decisivo passaggio dall’ordinamento giuridico
del popolo all’ordinamento giuridico del re, dal Volksrecht al Königsrecht,
e ancora, il progressivo abbandono, giunto a compimento nel VII secolo,
della prassi dell’elettività assembleare a tutto vantaggio di una
regalità fondamentalmente dinastica, oppure il riconoscersi, da parte
dei re longobardi, in un orizzonte ‘romano’, in tal modo portando a
maturazione un lungo ma costante processo di acculturazione. Ancor più
significative sono le riflessioni riservate dall’Autore all’esame della
tribù longobarda. Di contro a una lettura oggi particolarmente in voga,
Indelli recupera una concezione dell’etnia (anche se ritiene
maggiormente perspicuo l’uso del termine tribù per connotare
l’organizzazione sociale longobarda) radicata su fattori oggettivi senza
per questo, a ragione, pensarla fuori dalla storia. Detto altrimenti,
insistere sulla loro “oggettività” non implicherà affatto il ritenere
etnie barbare, compresa quindi quella longobarda, delle monadi
impermeabili ad ogni influsso esterno. Tutt’al contrario, si può pensare
l’etnia (la tribù) come fondata su oggettivi e, al contempo, soggetta a
“evoluzioni e trasformazioni di ogni tipo”, per riprendere parole
stesse dell’Autore. Da qui deriva, infine, la caratterizzazione della
tribù dei Longobardi, stante le condivisibili definizioni che ne dà
l’Autore, come “un organismo politico-militare ed etnico-culturale
dotato di una sua specifica autonomia e identità” e con un solido
“retaggio di tradizioni giuridiche, linguistiche e religiose” unito a
“miti etnogenetici”. Da qui, di conseguenza l’idea della tribù
longobarda innanzitutto “comunità di sangue, Blutsgenossenschaft” come “una sorta di grande famiglia allargata” in grado di andare al di là dello stesso specifico ‘clan’ di appartenenza (la Sippe), per dar vita a un popolo capace di avere uno straordinario destino nella storia italiana ed europea.
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