L'Imperatore nel suo labirinto
Usi, abusi e riusi del mito di Federico II di Svevia
di Marco Brando
pp. 304, € 18,00
Tesserre Edizioni, 2019
ISBN: 978-88-944323-4-3
Ha 800 anni sulle spalle ma ancora oggi Federico II
di Svevia, l’imperatore normanno-svevo, viene posto o sugli altari o
sul banco degli imputati. Rimosso (o messo da parte) il personaggio
storico, è stato trasformato in un mito e di esso, a seconda delle
stagioni, della collocazione geografica, delle mire politiche, se ne è
fatto abbondante uso. Tanto da stravolgere la storia, o meglio, come
sempre più spesso avviene, a tirarla dalla propria parte fino a negarla.
Con le armi del cronista che segue un avvincente caso giudiziario, e
con una gradevolissima scrittura che regala anche più di un sorriso,
Marco Brando, giornalista di lungo corso e scrittore, ha indagato sul
“leader” del Sacro romano impero (Jesi, 1194 – Castel Fiorentino, 1250),
sul vestito, anzi, meglio, i vestiti che gli sono stato messi addosso e
sul massiccio impiego ideologico della sua immagine.
Blandamente apprezzato in tutto il Sud, soltanto in Puglia è assurto a
vero e proprio idolo, padre fondatore, venerabile santo, poi
trasformato in un’icona da stampare su magliette o gadget come si fa con
Che Guevara o Marilyn Monroe.
Dalla “centrifuga” di questo caso emerge però anche il disprezzo
strumentale che se ne è fatto nel Nord padano-leghista, dove i santini
riproducono invece l’effige di Alberto da Giussano.
E nell’area europea di cultura germanica – terra natale dei suoi avi tedeschi, Enrico VI e Federico Barbarossa, dove di miti, archetipi e simboli ne sono stati collezionati a dismisura – che ne è del puer Apuliae?
Quasi completamente ignorato dalla gente comune, persino nella sua
Svevia, lo scopre il cronista prestato al mestiere di storico, che dei
ferri di questa disciplina si è qui rigorosamente servito.
Se ne interessano invece i media islamici contemporanei, per i quali
Federico non è affatto il fautore della cosiddetta “crociata pacifica”,
bensì un invasore e un nemico, come tutti i suoi predecessori.
Dall’inchiesta “giornalistica” – per metà è questo il libro, per metà
è ricerca di storia contemporanea – emergono anche le tante false
raffigurazioni del Medioevo, impiegate per demonizzare le presunte
“stagioni buie” e rassicurarsi del proprio luminoso presente o per
travestirsi nei protagonisti di un video-gioco ambientato nei labirinti
di un castello ottagonale.
Il puzzle ricostruito svela usi e abusi dell’imperatore, gli antichi
debiti e gli antichi pregiudizi, la ferita profonda che lacera l’Italia
imprigionandola nel suo Sud e nel suo Nord.
Accompagnato dalla prefazione di Giuseppe Sergi e dalla postfazione
di Tommaso di Carpegna Falconieri, medievisti di chiara fama, il libro
aggiorna ed amplia un precedente volume uscito nel 2008 e ormai
esaurito, riproducendo in appendice i testi di Raffaele Licinio e Franco
Cardini, presenti in quella edizione, oltre a una ricca sezione
iconografica.
In controluce si legge, a prescindere dal personaggio, l’uso che si
fa dei miti, fornendo gli strumenti per coltivarli, come naturalmente
avviene, senza farsene fagocitare fino a perdere il lume della ragione.
Marco Brando, genovese, giornalista dal 1982. È stato
16 anni a “l’Unità” per la quale ha seguito tutta “Mani pulite”. Nel
2000 è “emigrato controcorrente” dalla sedicente Padania alla Puglia,
dove ha lavorato alla cronaca locale del “Corriere della Sera”. Tornato a
Milano nel 2007 ha fatto il caporedattore a “City”, quotidiano free
press della Rcs e il caposervizio al “Nuovo” (Cairo Editore). È autore
di Sud Est. Vagabondaggi estivi di un settentrionale in Puglia (2006), prefazione di Franco Cassano, e Lo strano caso di Federico II di Svevia. Un mito medievale nella cultura di massa (2008), prefazione di Franco Cardini e postfazione di Raffaele Licinio, pubblicati da Palomar.