Poesia e diritto nel Due e Trecento italiano
a cura di Franziska Meier, Enrica Zanin
pp. 248, € 18,99
Angelo Longo Editore, 2019
ISBN: 978-88-9350-033-3
Che poesia e diritto, nel Due e Trecento, siano intimamente legati è
cosa nota. Si sa che grandi poeti come Giacomo da Lentini e Cino da
Pistoia furono, al tempo stesso, grandi giuristi. Ma sia gli storici del
diritto che i filologi non spingono oltre le loro ricerche e restano
nello stretto perimetro della loro disciplina, come se l’idea che il
diritto possa entrare in poesia fosse inimmaginabile. Questo volume
intende invece prendere insieme poesia e diritto, e capire perché in
Italia, nel Medioevo, la poesia sia entrata nel diritto (Literature in
Law) e, perché, inversamente, il diritto sia entrato in poesia (Law in
Literature).
Nei tredici capitoli di questo volume filologi e storici del diritto analizzano il legame tra poesia e diritto per metterne in prospettiva gli effetti e le ripercussioni, in un percorso che va del Duecento fino al primo Rinascimento. Il libro comincia alla corte di Federico II, dove fu realizzato un ambizioso programma giuridico-poetico a cui contribuì Pier della Vigna, coniugando con genio poesia e diritto nell’Ars dictaminis. Ci si sposta poi nel contesto giuridico bolognese, con le poesie di Monte Andrea e di notai poeti come Niccolò Malpigli; si studia l’astrologia giudiziaria con Cino da Pistoia e Francesco da Barberino; si rintraccia la figura del giurista e la sua ascesa nelle due redazioni del Novellino; si analizza l’uso raffinato e critico della retorica giudiziaria in una novella del Decameron. Arrivati in pieno Trecento, si considera la figura del poeta umanista, per capire se il rifiuto del diritto, che Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca ostentano nelle loro epistole, sia apparente o sostanziale. Infine, si scopre che la poesia stessa – non solo la poesia latina, ma anche quella di Dante – si trasforma in fonte d’autorità nel discorso giuridico del Trecento e continua a nutrire l’ius gentium nell’età moderna.
Nei tredici capitoli di questo volume filologi e storici del diritto analizzano il legame tra poesia e diritto per metterne in prospettiva gli effetti e le ripercussioni, in un percorso che va del Duecento fino al primo Rinascimento. Il libro comincia alla corte di Federico II, dove fu realizzato un ambizioso programma giuridico-poetico a cui contribuì Pier della Vigna, coniugando con genio poesia e diritto nell’Ars dictaminis. Ci si sposta poi nel contesto giuridico bolognese, con le poesie di Monte Andrea e di notai poeti come Niccolò Malpigli; si studia l’astrologia giudiziaria con Cino da Pistoia e Francesco da Barberino; si rintraccia la figura del giurista e la sua ascesa nelle due redazioni del Novellino; si analizza l’uso raffinato e critico della retorica giudiziaria in una novella del Decameron. Arrivati in pieno Trecento, si considera la figura del poeta umanista, per capire se il rifiuto del diritto, che Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca ostentano nelle loro epistole, sia apparente o sostanziale. Infine, si scopre che la poesia stessa – non solo la poesia latina, ma anche quella di Dante – si trasforma in fonte d’autorità nel discorso giuridico del Trecento e continua a nutrire l’ius gentium nell’età moderna.
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