Donne al lavoro nell'Italia e nell'Europa medievali (Secoli XIII-XV)
di Maria Paola Zanoboni
pp. 177, € 16,00
Jouvence, 2016
ISBN: 8878015253
Si è sempre detto, e la maggior parte degli scritti sull'argomento non
si stanca di ripeterlo, che le donne nel Medioevo lavoravano, ma
lavoravano in casa, tessendo e filando, magari alla luce di una candela
ricordando il passato, come ce le dipinge in una lirica Ronsard.
Potevano al massimo aiutare il marito nella sua attività, e proseguirla
se vedove, ma erano retribuite meno rispetto agli uomini e incapaci di
sopravvivere col proprio lavoro. Tutto questo secondo l'opinione
tradizionale, viziata da preconcetti e da schemi attuali proiettati sul
passato. Questo libro mostra un quadro completamente diverso: donne che
lavoravano in tutti i possibili settori, compresa l'edilizia, le miniere
e le saline; imprenditrici che si autofinanziavano con propri capitali
ottenuti dalla vendita di abiti e gioielli; retribuzioni commisurate
"alle reali capacità" e quindi non dipendenti dal genere; donne che col
proprio lavoro riuscivano a mantenere se stesse e familiari in
difficoltà, o a saldare i debiti dei mariti; nobildonne impegnate nelle
attività più varie: dall'organizzazione di laboratori per il ricamo,
alla gestione di miniere, alla direzione di opere di bonifica,
all'impianto di caseifici.
Maria Paola Zanoboni, dottore di ricerca e cultore
della materia in storia medievale, e abilitata a professore associato in
storia economica, ha già pubblicato i volumi: Artigiani, imprenditori, mercanti. Organizzazione del lavoro e conflitti sociali nella Milano sforzesca (1450/1476), Firenze, 1996; Produzioni, commerci, lavoro femminile nella Milano del XV secolo, Milano, 1997; Rinascimento Sforzesco. Innovazioni tecniche, arte e società nella Milano del secondo Quattrocento, Milano, 2005, Salariati nel medioevo. “Guadagnando bene e lealmente il proprio compenso fino al calar del sole”, con introduzione di F. Franceschi, Ferrara, 2009, oltre a numerosi saggi apparsi in varie riviste. "Scioperi e rivolte nel Medioevo", Jouvence, 2015.
Di Paolo Stefanato – Il Giornale - 14/04/2016 (sintesi)
RispondiEliminaNon è vero che nel Medioevo le donne lavorassero solo in casa. Il tema è affrontato in un testo scientifico e divulgativo insieme, serio e piacevole da leggere, ricco di vastissima bibliografia. Si tende a pensare che in quei secoli le donne non fossero impegnate in lavori pesanti: eppure i documenti relativi allo scavo di una roggia nella zona di Pavia, a metà del XV secolo, dicono che dei 600 lavoratori ingaggiati, solo 300 erano uomini. Anche in Francia e in Spagna nella stessa epoca, tante donne erano occupate nell'edilizia, nelle costruzioni di edifici privati e di opere pubbliche, con una particolarità: se avevano la stessa corporatura di un uomo venivano pagate per intero, altrimenti la metà. Ciò avveniva anche in altri mestieri di fatica: stesso rendimento, paga uguale. Con qualche eccezione: nei rivestimenti interni in pelle delle armature, le mani femminili erano più abili e venivano pagate di più. A Parigi, nel ‘200, le mogli dovevano alternarsi ai mariti nella custodia delle porte delle città, anche di notte. Sempre in Francia, nelle saline di Salins, nello Jura, le donne non erano solo manovali ma avevano anche compiti di coordinamento e di gestione. In quelle miniere di sale si viveva di più: c'è traccia di una donna invecchiata sottoterra fino a 112 anni, molte a 80 lavoravano ancora. E dopo 40 anni di lavoro acquisivano il diritto alla pensione, pagata dal datore di lavoro: raro caso di welfare dell'epoca; altri esempi si trovano a Venezia, dove la Zecca dello Stato nel ‘300 pagava un assegno d'invalidità ai dipendenti malati o ciechi per causa di servizio. Un altro luogo comune rivisto riguarda le nobildonne: molte si dedicavano a svariate attività. Lucrezia Borgia era un'abilissima imprenditrice. Si occupò di bonifiche di terreni facendosi pagare con parte dei campi valorizzati, grazie ai quali aumentò il patrimonio di famiglia. All'inizio del ‘500 avviò persino un allevamento di bufale e impiantò una produzione di mozzarella, di cui era ghiotta. Tale Cristofora Margani ereditò dal marito le miniere di allume di Tolfa (Civitavecchia), dirigendo l'attività e trattando sia coi clienti che coi minatori da vera imprenditrice. Tanti i casi di lavoro autonomo femminile anche in campi più artigianali, cpme la produzione di “oro filato”, un filo di seta avvolto in una foglia d'oro usato per impreziosire gli abiti. Le “mercantesse” di oro filato a Venezia furono anche riconosciute dal senato. L’autrice rivede anche un'altra convinzione diffusa: che le donne non fossero ammesse nelle corporazioni. Erano in realtà le donne a non volervi entrare per organizzarsi da sole e per non essere controllate. In tutta Europa ci furono anche donne medico, e anche in questo ambito si registrarono vari contenziosi con le corporazioni. A Parigi fu processata una donna-medico, considerata abusiva dalla corporazione che essa aveva rifiutato: a difenderla furono i suoi pazienti. L'iscrizione alle corporazioni era obbligatoria per gli uomini, per le donne veniva tollerato il lavoro nero, purchè non dessero fastidio. Piuttosto nel tempo si fece strada un principio: in attività delicate – beni preziosi, produzione del pane, medicina – l'iscrizione alla corporazione diventò una specie di certificazione, quasi un'abilitazione all'esercizio. Ma non è vero che le donne fossero volutamente escluse, considerate negativamente, impiegate in attività marginali e mal pagate. Ci furono casi anche di donne capaci di maneggiare il denaro a tal punto da svolgere attività finanziarie, così come la solidarietà tra donne lavoratrici registrò casi clamorosi. A Bilbao nel XIV secolo le venditrici di sardine che occupavano la piazza del municipio, producendo odori nauseabondi, si coalizzarono con successo contro l’autorità pubblica che voleva farle sgombrare.