Rime, Jacopo Cecchi
a cura di Benedetta Aldinucci
pp. XLII-162, € 24,00
Salerno Editrice, 2020
ISBN: 978-88-6973-449-6
L’identità e la produzione del notaio e rimatore fiorentino ser
Jacopo Cecchi sono state per oltre quattro secoli indissolubilmente
legate al nome di Dante Alighieri: consacrata sotto la paternità
dantesca dalla stampa della ‘Giuntina di rime antiche’ del 1527, la
fortunatissima canzone Morte, perch’io non trovo a cui mi doglia
è rimasta legata al nome dell’Alighieri fino alla fine dell’Ottocento,
in virtú di una lettura da parte della critica che la voleva tessera
estravagante della Vita nuova, necessaria a “completare” un capitolo del
libello – quello sulla infermità, morte e assunzione in cielo di
Beatrice – avvertito come carente. Copisti ed editori di Dante hanno
dunque inteso la canzone quale accorato planctus del sommo poeta
cagionato dalla mortale malattia di Beatrice, al punto di oscurare
l’identità del meno celebre rimatore fiorentino, riportato
all’attenzione degli studi solo sul finire dell’Ottocento, allorché ha
cominciato a delinearsi la fisionomia di un poeta minore, mediocre
autore di rime amorose, ma abile imitatore di Dante e del Petrarca.
Attivo nelle istituzioni fiorentine dal 1315/’26 al 1369, Jacopo
Cecchi svolse l’incarico di ambasciatore per il Comune di Firenze e
ricoprí l’ufficio di notaio della Signoria per il quartiere San
Giovanni. Nel volume viene puntualmente ricostruita, grazie a nuove
ricerche d’archivio, la sua identità storica, introduttiva all’edizione
critica commentata del piccolo corpus rimico, che annovera, oltre alla
canzone alla Morte, la canzone Lasso, ch’i’ sono al mezzo della valle e il capitolo ternario O sconsolate a pianger l’aspra vita, ora per la prima volta proposto a stampa. Seguono in Appendice la canzone O Morte, che la vita schianti e snerbi (forse del Cecchi, se lo Jacobus de Florentia
cui la assegna il ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, n.a.
1745, coincide con il rimatore fiorentino) e l’anonimo rifacimento tardo
quattrocentesco o cinquecentesco, Morte, da che convien pur ch’io mi doglia, testimone dell’ampia fortuna arrisa alla canzone Morte, perch’io non trovo.
Ogni componimento, opportunamente inquadrato all’interno del panorama
poetico coevo, è corredato di apparato giustificativo che consente di
verificare le scelte testuali diffusamente discusse anche nella Nota ai testi;
mentre il commento è a servizio della comprensione del testo e indica i
riferimenti letterari che si sono reputati piú probabili e certi.
Benedetta Aldinucci svolge la sua attività di studio e ricerca presso l’Università per
Stranieri di Siena. Oltre ad aver pubblicato vari saggi sulla poesia
medievale (Boccaccio, le fonti poetiche italiane della poesia di Ausiàs
March, le rime apocrife di Dante) e su autori novecenteschi (Nicola
Lisi, Margherita Guidacci), ha curato l’edizione critica delle Rime del
poeta trecentesco Pietro de’ Faitinelli (Firenze 2016).
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