Umana cosa
Approssimazioni di genere al «Decameron»
di Monica Cristina Storini
€ 25,00
Giulio Perrone Editore, 2024
EAN: 9788860047229
Nel panorama critico italiano si registra una certa resistenza a guardare alla scrittura di Boccaccio attraverso la lente, accreditata ormai da più di trent’anni, degli Studi di Genere – che si ritengono adatti a decostruire la scrittura contemporanea (o, meglio, circostante) piuttosto che quella antica –, a differenza di quanto è avvenuto e avviene in area anglosassone e, più specificatamente, statunitense, dove la descrizione del ruolo rappresentato dalla sessualità, dal femminile e dal maschile e così via, nell’opera del Certaldese, è tema particolarmente ricorrente. Il volume che si propone vuole, al contrario, dimostrare come tale prospettiva possa essere particolarmente proficua per interpretare e comprendere pienamente il valore di quella parte del Decameron che la critica ha liquidato come la più ossequiosa della tradizione e, dunque, come quella – tranne l’eccezione di poche novelle – meno felice e riuscita della silloge boccacciana, coincidente con le narrazioni dominate dall’azione contrastante del Caso e della Fortuna. Inquadrando la poetica boccacciana all’interno di una visione in cui compassione per le peripezie umane, importanza dell’intelligenza e potere della parola sono strettamente legati, lo studio mette in luce come l’avventura sia nel Decameron un vero e proprio tema queer. L’incontro/scontro con essa pone, infatti, il soggetto in una situazione di fluidità, di rinuncia – temporanea, più o meno lunga – al proprio status – di genere, di classe sociale, di condizione sentimentale –, lungo una durata temporale – di natura “patologica” – che comporta la messa in discussione e la ridefinizione dell’individualità che vi prende parte, anche suo malgrado, costringendola a ridefinire ruoli e stereotipi, obbligandola alla “fluidità”, sebbene approdi – ma, per quello che possiamo sapere, forse solo momentaneamente – a uno status normato e normalizzato, all’interno di una società, la quale, si badi bene, non coincide più – o non coincide del tutto –, dopo il flagello della peste, con quella che l’ha preceduta. Oltre alla mobilità identitaria, l’avventura possiede poi un ulteriore elemento queer, vale a dire presuppone e richiede una dimensione collettiva di risoluzione e riconoscimento identitario. A ciò obbedisce la compassione, soprattutto delle donne, vera e propria empatia che può scattare soltanto se e quando l’avventura dismette il proprio aspetto queer e diviene narrazione, stabile, certa, normata.
Monica Cristina Storini è
professora associata di Letteratura italiana presso il Dipartimento di
Lettere e Culture moderne della Facoltà di Lettere e Filosofia della
Sapienza Università di Roma. Formatasi sullo studio della prosa delle
Origini e della letteratura del Cinquecento, ha dedicato una particolare
attenzione agli aspetti teorici e metodologici connessi con la
scrittura delle donne, i generi letterari, le questioni
didattico-formative. Lavora su Bontempelli, Calvino, la scrittura delle
mistiche e delle poetesse del XVI secolo, Anna Banti, Fausta Cialente,
Alba de Céspedes e sulle nuove forme di scrittura (noir, fantasy, new italian epic)
a firma femminile (Goliarda Sapienza, Elena Stancanelli, Melania
Mazzucco, Alda Teorodani, Silvana La Spina, Grazia Verasani, Simona
Vinci, ecc.). Si è occupata e si occupa inoltre della prosa anonima del
Duecento e del Trecento, del Decameron e della poetica di
Giovanni Boccaccio, della pratica del volgarizzamento e del suo legame
con la moderna traduzione, di teoria della letteratura. Tra le sue
monografie: Lo spazio dell’avventura. Peripezia e racconto nel medioevo, La Nuova Italia, Firenze 1997; L’esperienza problematica. Generi e scrittura nella narrativa italiana del Novecento, Carocci, Roma, 2005; Il secchio di Duchamp. Usi e riusi della scrittura femminile in Italia dalla fine dell’Ottocento al Terzo Millennio, Pisa, Pacini, 2016; Scritture femminili. Teorie, narrazioni, ipotesi per il Terzo Millennio, Roma, CatBook, 2021.
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