Pittura tardogotica nel Salento
di Sergio Ortese
pp. 356, € 50,00
Congedo Editore, 2014
ISBN: 9788867660834
È significativo rilevare
come queste testimonianze siano la cartina al tornasole di una cultura
figurativa tardogotica originale e sostanzialmente autoctona rispetto a
quella di altre aree del Sud Italia, a cominciare da Napoli. «Siamo di
fronte dunque al fiorire di una cultura pittorica essenzialmente
“pugliese”, con la particolarità di non essere, per questo suo aspetto
locale, una cultura dagli esiti qualitativi meno felici, che anzi il
livello artistico ne è, non di rado, elevato». Nel corso di questa
ricerca saranno illustrati oltre trenta esempi di architetture del
Salento che, oltre al celeberrimo cantiere di Santa Caterina
d’Alessandria di Galatina (v. infra il saggio di Antonella Cucciniello),
presentano ancora oggi, sia pure in forma frammentaria, isolata o priva
di contesto, decorazioni murali tardogotiche, spesso originariamente
partecipi di un programma iconografico più vasto. Inoltre, almeno sette
di questi edifici contemplano veri cicli pittorici tardogotici. Questi
dati, già estremamente notevoli alla luce di quanto sopra esposto, sono
certamente suscettibili di nuove acquisizioni se si procederà con
maggiore sistematicità nell’applicazione di aggiornati metodi di
indagine specialistica prima di qualsiasi azione-manomissione su beni
architettonici e manufatti scultorei, anche ove apparentemente privi di
finiture o di interesse “culturale”. Per comprendere appieno
l’importanza della questione relativa alle opere totalmente dimenticate,
perché celate, si deve considerare che la quasi totalità delle
decorazioni murali tardogotiche superstiti, sopraccitate, sono state
rinvenute nell’ultimo mezzo secolo sotto a semplici scialbature o a più
complesse sovrammissioni, anche strutturali. Era dunque per così dire
fisiologico che le potenzialità territoriali chiamate in causa dallo
stesso Pellegrino di Puglia avessero inciso anche sul piano della
produzione figurativa e del mercato artistico. Era altresì logico che il
primato raggiunto dal capoluogo salentino nel Cinquecento, all’interno
del panorama regnicolo (Lecce alias ‘Neapolis’), poggiasse sugli
antefatti di un «Rinascimento negato». In effetti, il Salento in epoca
tardomedievale era stato una realtà socioeconomica, politica e
artistica, molto più simile a un centro che a una periferia, anche per
la presenza della più potente, sia pure turbolenta, casata feudataria
del Regno, una presenza reale e consapevole, totalmente lontana dalla
mistificante apparenza di una periferia addirittura coloniale.
Sergio Ortese,
storico dell’Arte classe 1971, vive e lavora a Lecce. Nel 2000 si laurea
con lode presso l’Università degli Studi di Lecce, Facoltà di Beni
Culturali. Da quest’ultima ottiene un assegno di ricerca biennale
(2001-2003) occupandosi di ‘committenza artistica nel Salento fra Tre e
Quattrocento; contestualmente stabilisce una proficua collaborazione con
l’insegnamento specialistico di Storia dell’Arte Medievale in Puglia,
in qualità di cultore della materia e membro della commissione di
profitto negli esami. Nel 2009 consegue il titolo di dottore di Ricerca
in Storia dell’Arte Meridionale tra Medioevo ed Età Moderna presso
l’ateneo leccese. Consulente per il Museo Provinciale di Lecce per
oltre dieci anni, ha collaborato con prestigiosi enti di ricerca (Isufi,
Politecnico di Bari) e insegnato Storia dell’Arte presso università,
accademie e scuole di ogni ordine e grado. Autore di numerose
pubblicazioni scientifiche, nel 2009 fonda e dirige, curandone i primi
cinque volumi, la collana De là da mar. Scritti di Storia dell’Arte (Lupo
editore) che si prefigge di riconoscere, studiare e valorizzare, in
forma multidisciplinare, alcuni misconosciuti tesori artistici della
Puglia.
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