De gestis Italicorum post Henricum VII Cesarem (Libri I-VII)
di Albertino Mussato
a cura di Rino Modonutti
pp. XLIV-394, € 58,00
Sismel, 2019
ISBN: 978-88-8450-912-3
Il De gestis Italicorum post Henricum VII Cesarem
di Albertino Mussato (1261-1329) si apre col resoconto delle reazioni
alla morte dell’imperatore Enrico VII (24 agosto 1313), raccontata con
dovizia di particolari a conclusione del De gestis Henrici VII Cesaris.
La scomparsa di colui che era stato il protagonista e, in un certo
senso, il motore della sua prima prova storiografica non fece quindi
venire meno in Mussato il desiderio di narrare gli eventi più
significativi del proprio tempo. Quasi senza staccare la penna dal
foglio, Albertino, pur fortemente impegnato nell’azione politica, passò
così dalla composizione del primo a quella del secondo e più imponente De gestis,
che prosegue in quindici libri fino a registrare alcuni accadimenti del
giugno 1321. Qui si offre l’edizione criticamente fondata dei libri
I-VII, arricchita da note di contestualizzazione e commento, tappa
intermedia di un progetto di edizione integrale dell’opera.
Nei primi sette libri del De gestis Italicorum,
Mussato narra le turbolente vicende d’Italia (soprattutto dell’Italia
centro-settentrionale) dall’agosto 1313 ai primi mesi del 1316,
riservando una posizione privilegiata alla sua Padova, impegnata in un
logorante conflitto con Cangrande della Scala, destinato a protrarsi tra
alti e bassi fino al 1328. La città di Antenore è tormentata al suo
interno da tensioni crescenti, che hanno talvolta esiti cruentissimi,
come il tumulto dell’aprile 1314: tra i personaggi che si muovono sulla
scena cittadina c’è l’autore stesso, che racconta di sé in terza
persona; ci sono anche il vescovo Pagano della Torre, dedicatario e
interlocutore privilegiato dell’opera, e soprattutto i nobili signori Da
Carrara che, sotto l’intelligente guida di Giacomo il Grande, si
preparano a giocare un ruolo sempre più importante e decisivo. Ricco e
articolatissimo è pure il resoconto della cruciale battaglia di
Montecatini del 1315, la magnifica impresa di un altro grande ghibellino
di quegli anni, Uguccione della Faggiuola, descritto con finezza di
analisi politica e psicologica nella sua quasi irresistibile ascesa. Uno
sguardo attento è anche rivolto alle vicende lombarde, che vedono
contrapporsi i Guelfi, alla cui guida ricopre una posizione importante
la famiglia del dedicatario Pagano, e Matteo Visconti, che va allargando
sempre più la sua area di influenza. Di molti di questi «successus
rerum» è attore non secondario Roberto d’Angiò, di cui si descrive anche
una non fortunata spedizione contro la Sicilia di Federico d’Aragona.
Come già si verifica nel De gestis Henrici, aperto all’insegna di Tito Livio, anche nel De gestis Italicorum
Mussato si rivela debitore della tradizione storiografica antica,
soprattutto per quanto riguarda i paradigmi di interpretazione morale
delle vicende storiche, che risentono in particolare delle riflessioni
sallustiane. Ma la storia di Roma, soprattutto della Roma repubblicana,
influenza in maniera significativa pure il discorso sulle istituzioni
politiche cittadine contemporanee, sul loro funzionamento, sul loro
sviluppo e sul loro declino, mentre nella tessitura della prosa del
Padovano riemerge più volte la memoria dei poeti antichi.
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