La Corona Ferrea
di Carlo Bertelli
pp. 80, € 9,90
Skira, 2017
ISBN: 885723683
Gioiello o reliquia? Storia o leggenda? Domande e nuove ipotesi sulla
celeberrima corona del regno longobardo, gioiello di oreficeria
tardoantica.
Quasi tutte le corone delle case
regnanti, o non più regnanti, d’Europa sono esposte nei musei europei.
La corona del regno longobardo, la “corona ferrea”, no. È chiusa in
un’edicola di marmo posta sopra l’altare nella cappella del duomo di
Monza in cui mirabili affreschi raccontano la leggenda della regina dei
Longobardi Teodolinda. A lungo ignorata, la corona fu riesumata da
Napoleone, che se la mise in testa con le parole: “Dio me l’ha data,
guai a chi la tocca!”. Chiusa da quattro catenacci, la corona è da tempo
inaccessibile come una venerata reliquia. Chiusa da quattro catenacci,
la corona è da tempo inaccessibile come una venerata reliquia. Non
perché sia essa stessa una santa reliquia, ma perché, negli anni 80 del
Cinquecento, il dottissimo cardinale Baronio collegò il rinforzo
metallico al suo interno con una storia trasmessa da sant’Ambrogio, che
diceva che un chiodo della Crocifissione si trovava nell’elmo di
Costantino. Dopo le analisi scientifiche degli anni ’90 nel Novecento,
la corona fu così attribuita al re goto Teoderico, ma inseguito la tesi
di Costantino è riemersa. Si pongono dunque nuove domande. Siamo sicuri
che il destinatario della corona fosse un uomo e non una donna? Perché
la corona è stata resa volutamente così piccola? La corona è stata
tramandata per una decina di secoli come quella dei re dei Longobardi,
benché i re longobardi non portassero corone. Perché si è voluto
conservare e riparare un oggetto di oreficeria tardo antica, restaurato e
ridimensionato intorno al IX secolo, anziché sostituirlo?
Carlo Bertelli, storico dell’arte, è stato redattore
dell’Enciclopedia dell’arte antica, soprintendente a Milano e ha
insegnato a Berlino, Ginevra, Venezia e Berkeley.
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