Artù, Lancillotto e il Graal. Volume I
a cura di Livio Leonardi
Traduzione, introduzioni e commento a cura di
Carlo Beretta, Fabrizio Cigni, Marco Infurna,
Claudio Lagomarsini, Gioia Paradisi.
pp. XXXVI - 1116, € 90
Einaudi, 2020
ISBN: 9788806239749
Il ciclo di romanzi in antico francese che gli specialisti conoscono con il titolo Lancelot-Graal,
o ciclo della Vulgata, non è mai stato tradotto integralmente in
italiano in epoca moderna, nonostante sia una delle opere piú grandiose
del Medioevo europeo, e abbia esercitato uno straordinario influsso
sull’immaginario narrativo della cultura occidentale. Di autore ignoto,
forse piú autori al lavoro insieme, composta nei primi decenni del XIII
secolo in una località imprecisata della Francia del Nord, non
incardinata né sui miti del mondo greco-romano né sul confronto tra il
mondo cristiano e il mondo islamico, la Vulgata non sembra possedere i
connotati che definiscono un classico secondo i parametri correnti, e di
fatto non è stata ancora pienamente riconosciuta come tale. Non è tra
le opere entrate nei canoni della modernità letteraria, non è tradotta
in molte lingue, anche in Francia è entrata nella collana della Pléiade
solo pochi anni fa. Eppure è in questa successione di romanzi che per la
prima volta trova una struttura compiuta, e riesce quindi a porsi come
nuova fonte mitologica, un mondo narrativo la cui potenza è rimasta
memorabile fino a oggi. Non solo il bacio dell’amore tra Lancillotto e
Ginevra, o il regno di Artú e le magie di Merlino, ma il potere di
Escalibur, la spada nella roccia, l’equilibrio utopico della Tavola
Rotonda, l’idea dell’avventura come condizione del cavaliere errante, le
foreste e i draghi, le damigelle e i giganti, la gratuità e la follia
dell’amore e dell’amicizia, e infine l’intreccio di questo mondo con le
tragedie della guerra e soprattutto con il mito del Graal, che a partire
dal nostro ciclo diventa il riferimento originario – in quanto
strumento eucaristico dell’Ultima Cena – della storia cristiana, e
insieme il segno escatologico del suo compimento. L’efficacia di questo
nuovo sistema articolato di racconti fantastici si è manifestata, oltre
che nel successo del ciclo in quanto tale, anche e anzi soprattutto
nella fortuna di alcune sue componenti e nella capacità di offrire
materia inesauribile alla letteratura per i secoli a venire. A partire
dall’invenzione del Lancelot-Graal vedono la luce gli altri grandi cicli di poco successivi, il Tristan en prose e il Guiron le Courtois,
e da questo bacino tra la fine del Quattrocento e l’inizio del
Cinquecento Boiardo e l’Ariosto reinventeranno il poema cavalleresco,
incrociandolo con la materia epica nel nome di Orlando. (…) Questa
incredibile fecondità tematica del mondo arturiano cosí come fu per la
prima volta organizzato nel Lancelot-Graal si deve anche a un
fattore del suo successo che è sicuramente meno noto, ma che ha svolto
un ruolo non secondario nello sviluppo della narrativa europea moderna. È
infatti nei romanzi del nostro ciclo che si sperimentano per la prima
volta, con un’estensione fino ad allora impensabile, i meccanismi
narrativi della prosa di finzione in una lingua volgare. La gestione dei
personaggi e dei loro rapporti, le sfumature dei dialoghi e dei
monologhi interiori, l’intreccio di piú piani concomitanti dell’azione,
l’organizzazione del tempo narrato e delle sue diverse velocità,
l’interazione fra il romanzo-biografia e il romanzo-mondo, sono elementi
costitutivi della narrazione moderna che nel ciclo arturiano trovano il
loro già organico fondamento. Nel dibattito sulle origini del romanzo,
il genere per eccellenza con cui il sistema culturale occidentale ha
tentato di interpretare letterariamente la realtà dell’uomo e della
storia, la Vulgata occupa un posto di tutto rilievo.
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